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LO CHEF DELLA MUSICA

Gioachino Rossini legò il proprio nome, molto più di tanti altri suoi colleghi compositori-buongustai, a quella festa dei sensi che è l'enogastronomia: con lui musica e cucina s'incontrano in una danza frenetica e giocosa che la storia ci consegna attraverso una serie interminabile di aneddoti, lettere, ricette e pagine musicali.
Quello di Rossini era un palato non solo goloso, ma anche pronto agli abbinamenti più calorici e bizzarri, raffinato in fatto di vini ed insaziabile fino al punto di riuscire ad ingurgitare a dodici bistecche una dopo l'altra (anche se il suo medico personale c'informa che "all'età di quarantaquattro anni rinunciò all'alcol ed ai cibi ipercaolrici").
La sua vita traboccava di tartufi, olive, fois gras, burro, carni, uova, stufati, zamponi e rognoni, ma anche di sapienza di cucina rilevabile, ad esempio, nelle sue ricette (sette, come le note) che spaziano dai Tournedos alla Torta Guglielmo Tell (personaggio che ispirò anche una sua celebre opera. Il suo amore per il godimento del palato era tale che nel finale de L'italiana in Algeri fa intonare al coro "Tu qui mangia, bevi e taci, questo è il rito primo e massimo della nostra società".
Ma l'arte della tavola non è legata solo alle sue opere più famose, benś anche a pagine minori, intitolate I cetrioli, Il burro, Le acciughe, I ravanelli, L'uva, Il brindisi, titoli certamente non usuali per romanze o arie, che non solo rivelano la sua passione culinaria, ma sottolineano anche l'originalità dell'autore, uguale a quella riservata ai suoi capolavori.
Pescando qua e là fra le numerose lettere del compositore, notoriamente dotato di una non comune vena umoristica, si legge "mangiare e amare, cantare e digerire: questi sono in verità i quattro atti di quest'opera buffa che è la vita e che svanisce come la schiuma di una bottiglia di champagne. Chi se la lascia sfuggire senza averne goduto è un pazzo".
Nel 1823 Rossini arrivò a Parigi - preceduto dalla fama di genio - e venne subito, in qualche modo, coinvolto nel dibattito culturale sulla gastronomia che a quel tempo impegnava molti intellettuali francesi.
Fra i vari personaggi - da Anthelme Brillat-Savarin (autore di "La fisiologia del gusto") a Balthazar Grimod de la Reyniere (che scrisse "Manuale degli anfitrioni"), fino ad Alexandre Dumas padre (che raccolse il suo sapere in "Le grand Dictionnaire de Cuisine") - eccelleva il divino Antonin Careme che, dopo aver lavorato per i più importanti personaggi del suo tempo, gestiva le cucine dei Rothschild.
E fu proprio in casa Rothschild che i due si conobbero: fu un incontro da cui nacque un'amicizia fatta di stima e d'affetto. Ogni volta che Rossini era invitato a casa dei Rotshchild, passava prima in cucina a salutare Careme, il quale gli consigliava i piatti più prelibati del menu. Così, quando Rossini lascị Parigi per Bologna, Careme ne fu molto dispiaciuto perchè aveva perduto non solo un amico, ma anche un appassionato estimatore del suo talento gastronomico, "il solo" - come egli stesso diceva - "che l'aveva saputo comprendere".
Anche l'amicizia con il banchiere e barone Rotschild fu sicuramente "gustosa": nel 1864 Rotschild gli mandò in dono della splendida uva delle sue serre e n'ebbe questa risposta: "Grazie! La vostra uva è eccellente, ma poco mi piace il vino in pillole". Il barone capì l'antifona e fece subito spedire al Maestro un barilotto del suo migliore Chateau-Lafitte.
Gli omaggi enogastronomici di colleghi ed ammiratori erano all'ordine del giorno, in casa del maestro: il compositore Alberto Lavignac gli regalava di tanto in tanto una dozzina di royaux, deliziose sardine, che si pescano nel golfo di Guascogna. "Amico mio," - gli disse un giorno il Maestro -"non mi portate questa roba di sabato: il sabato ho molta gente a tavola, ed io, quando ho delle royaux, desidero di mangiarmele da solo, a mio agio e senza chiacchierare. Però, da buon marito, ne offro sempre una ad Olimpia".
Il sabato era, infatti, a casa Rossini, un giorno speciale: a cena giungevano sempre almeno sedici persone, mentre altre ne arrivavano più tardi. Erano momenti rinomati, oltre che per le primizie e le specialità culinarie, anche per la raffinatezza dell'argenteria, del vasellame e delle guarnizioni della tavola. Curiosiamo nella sala da pranzo attraverso lo sguardo di Arnaldo Fraccaroli che in un libro dedicato al Maestro, così racconta: "Fra i commensali, grande varietà, ma tutti nel "tono sopracuto" della rinomanza: artisti e principi, uomini di stato e letterati , signore possibilmente belle e scienziati, gente di teatro e gente del cosiddetto gran mondo parigino. Vi passano i maestri Meyerbeer, Auber, Thomas, Saint-Saens e Giuseppe Verdi quando si trova a Parigi di passaggio o per l'allestimento di qualche opera sua; Alessandro Dumas che ha passato la cinquantina ma è sempre vulcanico, carico di gloria, d'idee e di debiti, nonostante i favolosi guadagni....". L'elenco degli ospiti riportato è davvero lungo e ricco di nomi eccellenti, nella descrizione delle cene non mancano le citazioni delle performances dei vari artisti invitati.
"Presiede il Maestro, con la solennità di un patriarca, ma la pomposità é soltanto nella figura prelatizia, perché subito egli si lascia andare alla più agile e divertente e spiritosa conversazione, eccitando e trascinando lo spirito degli altri col suo brio, la vivezza delle trovate e l'inesauribile vena".
Ecco, questo fu Rossini, signore della musica e della tavola, cuoco pregiato e compositore geniale, audace ricercatore di soluzioni armoniche e di arditi abbinamenti enogastronomici (Madera e salumi, ad esempio), che cesellava l'impiego delle voci dei contanti così come quello degli aromi sulle carni.
E che, tanto concludere con un altro aneddoto significativo, compose la celebre e sublime aria Di tanti palpiti (inserita nell'opera Tancredi) preparandosi un bel risotto.


Marina Grasso