Ho
una casa in campagna. In quella parte del Nord Est dove
il Veneto sfuma impercettibilmente in Friuli. Un tempo,
prima delle fabbriche diffuse, strade come la mia erano
bianche, e prive d'illuminazione pubblica. Mancava perfino
l'acquedotto. Chi tirava l'acqua dal pozzo, che aveva la
pompa a getto continuo sull'aia, chi faceva su giù
alla fontana con le taniche da riempire. E non c'erano cancelli.
Gli accessi ai cortili erano senza barriere. Per gli abitanti
delle case sparse ricevere qualche visita non era mai un
fastidio.L'asfalto
l'hanno steso vent'anni fa, e poco dopo sono arrivati i
tubi dell'acquedotto comunale. Ultimi, i lampioni. Pochi
e semplici.
Ma
ora, tutte le case e villette allineate lungo la via esibiscono
cancelli di varia foggia. Tubi saldati e verniciati o elaborati
cancelli in ferro battuto. Le case nuove sono molte. Da
quando le vecchie grandi famiglie mezzadrili si sono scomposte
in tanti nuclei, ognuno ha voluto la sua abitazione. Così,
la vecchia geografia dei paesi inframmezzati da ampie distese
di campi, con case sparse, si è come dilatata ed
è apparsa trapunta di costruzioni nuove di zecca,
senza soluzione di continuità. E' nata l'area agropolitana.
Che a guardarla da una strisciata di satellite sembra un'unica
regione metropolitana, percorsa da tanti fiumi e cucita
insieme da filari di viti e campi fecondi. A conoscerla
da vicino, questa porzione d'Italia continua ad essere una
miriade di borghi distinti, orgogliosi del proprio campanile.
Dove tante forme del costume tradizionale resistono: le
sagre, le ciacole, lo spirito di vicinato, e un¹abbondanza
strepitosa di prodotti tipici. Forse è questo a far
credere che sia cambiato solo il paesaggio.
Per
una terra dove il lavoro di fabbrica ha sostituito in meno
di vent'anni tutti i vecchi mestieri, mettendo in coda l'agricoltura,
il passaggio è stato brusco. La foggia del vestire,
certe cadenze nella lingua, alcuni modi di mangiare, possono
cambiare in fretta. Non così i meccanismi profondi
della cultura, che regolano i comportamenti collettivi.
Purtroppo, c'è da dire che l'avvento di una post-modernità
colma di benessere ha portato con sé diffidenze e
paure. I cancelli sbarrano ogni passo carraio, ma nonostante
tutto l'atteggiamento prevalente verso i foresti non è
ostile. Ma è vero che si sono insinuati dubbi e preoccupazioni.
Prima perchè giovinastri nostrani assalivano anziani
soli nelle case isolate. Li seviziavano per strappargli
le quattro lire della pensione sotto il materasso.
La
stessa sorte è toccata a tanti vecchi parroci. Qualche
prete si è sentito incoraggiare dai fedeli a comperarsi
la doppietta. Poi è arrivata la volta delle bande
in villa. Con le TV nazionali e locali a snocciolare bollettini
dal fronte. Ormai non c'è casa che non abbia porte
blindate, inferriate alle finestre del primo piano, telecamere
a circuito chiuso. I più ricchi hanno vigilantes
che controllano giorno e notte. Per una societè precipitata
dai ladri di polli alle associazioni criminali il salto
è devastante. Anche un giornale che si occupa di
enogastronomia è chiamato a riflettere su queste
degenerazioni. Se è vero, come dimostra l'esperienza,
che il turismo e i suoi indotti sono legati a doppio filo
con il tema della sicurezza. Nel senso che quando questa
emerge come preoccupazione, quello contrae i suoi flussi.
E sarebbe grave per le nostre regioni, al vertice nazionale
per l'afflusso di turisti. E' mancata la prevenzione.
Nel
Veneto e in Friuli ci sono cittadine di ventimila abitanti
con una piccola stazione di carabinieri. Magari uno in più
dei tre o quattro che costituivano l'organico di trent'anni
fa. Uomini con mezzi scarsi, e l'abitudine al tran tran.
Le discoteche e l'ecstasy, il benessere diffuso, i pendolari
del crimine, li hanno colti inadeguati. E con loro i cittadini.
Tutti convinti che il mutamento riguardasse solo le fabbriche,
piuttosto che le vite. Come se i soldi fossero solo il giusto
compenso per tanti decenni di sacrifici, di emigrazione,
di risparmio all¹osso. E non una merce che fa gola ai criminali.
Non si è ancora arrivati a confondere ogni straniero
con i ladroni. Ma l'insicurezza incrina sempre più
la vecchia maniera d'essere. E lo stupore è tale
che la rabbia conosce soprassalti virulenti.
C'è
chi invoca giustizie sommarie, chi si compra la pistola,
chi si affida ai cani feroci. Un vecchio adagio avverte
che nulla è più terribile dell'ira di chi
è pacifico. Tradotto in politica, vuol dire un brutto
segnale per lo Stato democratico. Che magari aumenta gli
organici delle forze dell'ordine, ma continua a ritardare
l'adozione di vere misure di salvaguardia. Nelle regioni
di antico e consolidato rispetto per l¹autorità costituita,
la miglior politica sarebbe stata quella della prevenzione.
Davanti alle degenerazioni dei processi d'immigrazione è
al cuore del problema che si deve puntare, per dare tranquillità
alle persone. In altri termini è sempre bene ricordare
la necessità del controllo dei flussi, senza il quale
non è possibile l'integrazione. Ma al tempo stesso
adottare quelle misure che la favoriscano (abitazioni, conoscenza
della lingua e della cultura locale, educazione civica)
perchè l'immigrazione senza integrazione è
un'immoralità. E come tale genera mostri.